lunes, octubre 11, 2010

«I Musei civici veneziani?

David Landau, ex presidente della Fondazione «licenziato» si sfoga in un’intervista al «The Art Newspaper»: tesori mai esposti, strutture fatiscenti,

«Potrebbero essere uno dei più grandi patrimoni artistici del mondo». E invece a sentir David Landau i musei veneziani sono il simbolo del degrado culturale e fisico: macchie sulle pareti, scarsa illuminazione, assenza di inventario, collezioni nascoste, poca sicurezza per le opere. È un vero atto di accusa quello dell’ex presidente della Fondazione Musei civici di Venezia, raccolto da The Art Newspaper e pubblicato da Il giornale dell’arte in edicola in questi giorni. «È uno spreco terribile», dice. Landau è rimasto alla guida della Fondazione per poco più tre mesi (ma evidentemente più che sufficienti per notare la drammaticità della situazione): dalla nomina fatta dall’ex sindaco Massimo Cacciari alle dimissioni di settembre, dopo che il nuovo sindaco Giorgio Orsoni aveva preferito Sandro Parenzo come presidente «declassando» l’imprenditore — già membro del consiglio d’amministrazione della National Gallery di Londra e coautore di un saggio fondamentale sulle stampe del Rinascimento Italiano—al semplice ruolo di membro del cda, al pari di Carlo Fratta Pasini ed Emilio Ambasz. Avrebbe voluto avere la delega per il rilancio del museo del Vetro di Murano al quale avrebbe donato la sua collezione novecentesca, ma alla fine in contrasto con la nuova linea dettata da Orsoni e Parenzo (fra l’altro in procinto di passare dalla Fondazione alla presidenza del Casinò di Venezia) ha preferito lasciare, nonostante nel frattempo avesse abbandonato alcuni incarichi prestigiosi come l’università di Oxford.


Nessuna polemica, non è nello stile di Landau che però non è riuscito a nascondere la propria amarezza per la conclusione dell’avventura in laguna. Adesso a un mese di distanza ha deciso di parlare: «Penso sia giusto che i veneziani conoscano le pessime condizioni dei musei della loro città», dice. Non vuole puntare il dito contro nessuno, ma è chiaro che il responsabile numero uno sembra essere Giandomenico Romanelli da oltre vent’anni direttore dei musei veneziani. «Mi sono reso subito conto che i musei erano in condizioni totalmente disastrose — dice —. Le gallerie di dipinti del Correr non sono state toccate da quando Carlo Scarpa le aveva allestite negli anni Settanta: ci sono le macchie sulle pareti, l’illuminazione è scarsa e le didascalie delle opere sono scritte a macchina». E ancora: «Veri e propri tesori come il servizio Pellipario, uno dei più importanti esemplari della maiolica rinascimentale, o la collezione di gioielli, o i diciassette Canova, non vengono mai esposti. I materiali tessili e i costumi di Palazzo Mocenigo sono eccezionalmente conservati e inventariati dai curatori ma l’allestimento è deprimente».

L’ex presidente non a caso voleva rilanciare le attività espositive e ripensare le sedi museali, dopo aver notato sulle mostre l’assenza di qualsiasi politica. «La pratica adottata, che stavo cercando di cambiare, è quella degli affittacamere — aggiunge — La mancanza di criteri organizzativi vige anche per l’arte contemporanea. Una delle ultime mostre ad esempio è stata di un pittore croato che, per quanto gradevole, sarebbe parso superato già nel 1910». Ma sono due le cose che rattristano maggiormente David Landau: la biblioteca del Correr (100 mila volumi e ricca delle carte di archivio di molte delle grandi famiglie di Venezia raccolte nelle Procuratie Nuove) e il museo del Vetro. Sulla prima non ha mezze misure: «Mi teneva sveglio la notte, durante la mia permanenza ci sono stati due allagamenti e un incendio causato da un corto circuito». A sentire l’imprenditore i documenti non sono mai stati fotografati per cui un incendio più esteso avrebbe provocato la perdita totale del patrimonio.

«Il pessimo stato di conservazione in cui versa è scandaloso, la giunta comunale potrebbe trasferirla portandola a standard moderni nell’edificio dell’ex Pilsen in Bacino Orseolo che ha acquistato, peccato che però ora voglia trasformarlo in un albergo (è in corsa la vendita dello stabile per «salvare» il bilancio, ndr)». Discorso simile anche per il vetro: «Polvere ovunque, etichette così sbiadite da non potersi leggere. Murano è una sorta di marchio globale—dice Landau —.Le condizioni sono splendide con migliaia di pezzi in magazzino per i quali un museo americano costruirebbe un’ala apposta». E qui cominciano riferimenti diretti e indiretti al direttore Giandomenico Romanelli. L’ex presidente aveva istituito un comitato di esperti internazionali del vetro, organizzato un incontro con più di venti persone tra cui David Whitehouse direttore del Cornig Museum of Glass a cui è stato chiamato anche Romanelli, che però ha declinato l’invito. Poi c’è l’assenza di una cultura per il servizio pubblico. «Tutti i prestiti delle opere sono decisi da Romanelli — prosegue — ma se lui non è interessato raramente risponde alle richieste. Subito dopo la mia nomina, ho iniziato ad essere contattato da musei di tutto il mondo che avevano fatto domanda di prestito ma non avevano ottenuto alcuna risposta malgrado ripetute lettere». L’elenco potrebbe continuare,maLandau preferisce fermarsi: «Ce ne sarebbero però cose da dire ancora...».

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